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Tema del Simposio
Presentazione: Prof. Nando Marzo
Informazioni sulla "Pietra Leccese"
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INFORMAZIONI SULLA "PIETRA LECCESE"

Caratteristiche della "Pietra Leccese"

La formazione del suolo Pugliese risale all’epoca del periodo Quaternario e Terziario ed è costituito da vari tipi di pietra calcarea. Gli strati superficiali di tali conformazioni sono determinati dal compattamento di sedimenti marini. Il mare occupava la gran parte del territorio Salentino che sarà poi emerso dall’acqua per un probabile sommovimento tellurico. Due sono i principali tipi di pietra che si trovano nel basso salento: Il tufo e la pietra leccese ("Leccisu"). La pietra leccese è un calcare derivato da sedimenti di origine marina, per questo non è raro lavorando la pietra il ritrovamento di ostriche o fossili di crostacei e Briozoi che sono contenuti in essa, (in questo caso la pietra si definisce cozzaruolo). La principale materia di conformazione consiste in detriti cretacei; questo materiale è stato compattato da sostanza calcitica, già facente parte dell’impasto.

Già nella seconda metà del Cinquecento Jacopo Antonio Ferrari, soffermandosi nella sua notissima Apologia paradossica della città di Lecce sulle ricchezze di Terra d'Otranto, puntualizzava come queste ultime non facessero parte di un mondo epidermico, di superfìcie, ma appartenessero piuttosto al sottosuolo, ad un mundus subterraneus misterioso e imperscrutabile. Sotto terra sono, infatti, «un fonte di chiare e fresche acque», ma anche «una folta selva di legne per bruciare» e, soprattutto, «un monte di eccellente pietra per la costruzione degli edificj pubblici, e privati (…); al contrario delle altre Città che l'hanno tutte sopra terra». La montagna di pietra, alla quale quotidianamente attinge la città di pietra, è di dimensioni tali che «in un bisogno si può servire di tanta abbondanza di ( ... ) pietre che può in pochi dì fare una fortezza inespugnabile». Più oltre il Ferrari associa - secondo una prassi che poi diventerà consueta - la facilità di lavorazione del materiale alla fantasia creativa degli artefici leccesi, essendo le pietre «tanto atte, che s'intagliano co' scalpelli facendosi tutti quei lavori, che si ponno non solo immaginare da saggi maestri, ma tutto quanto all'edificatore piace». 1

Si noterà che la pietra appena estratta ha un colore biancastro mentre una volta esposta all’aria, ossidandosi, diventa di colore giallo dorato.

«Il cemento leccese » scrive l'Imperato « è obediente al coltello, e alquanto polverolento nella sua superficie, comunque sia rotto: perlochè nel maneggiarlo imbratta di polvere bianca; si taglia in uso di murare, e si adopra anco in ornamenti di edificij con molta commodità per esser egli di molta facilità nel lavoro di scalpello, di serra e di tornio; oltre che molto resistente alle ingiurie dell'aria e delle pioggie, da' quali col tempo piglia durezza». 2

È un piacere per lo scultore lavorare con questo materiale perchè essendo molto duttile permette la realizzazione di opere plastiche, libere e complesse.

Sin da epoche remote questo tipo di pietra è stata utilizzato in modo estensivo dai salentini. I primi insediamenti infatti si effettuano in grotte ricavate in questo tipo di roccia. Avremo che alcuni dei menhir sono ottenuti in "Leccisu". Con il divulgarsi del cristianesimo gli Anacoreti scavavano in questa pietra le cripte, così come i primi cristiani praticavano i loro riti nelle sue caverne, i monaci Olivetani costruirono in pietra leccese i monasteri dei SS. Nicolo e Cataldo e la chiesa di S. Caterina a Galatina. A ben guardare, poco si è scritto della felice soluzione e della complessità tecnica delle volte a stella e delle volte leccesi a spigoli, realizzate con la pietra locale che tanto bene si presta al taglio. Ci troviamo di fronte ad una sofisticata soluzione che, scarseggiando il legno, permette di coprire ambienti in armonia spaziale ed eleganza. Si ipotizza che l’arco ad ogiva sia stato introdotto dall’oriente nel Salento dai crociati e portato oltralpe dai Normanni. Di pietra leccese sono poi pure le masserie fortificate. Ma è in epoca barocca che l’ampia disponibilità di questo materiale, la peculiare qualità della su lavorazione permette il realizzarsi di vitali ed originali creazioni. Basta essere davanti ad una delle chiese barocche leccesi per notarne la varietà delle sue decorazioni plastiche. Fiori, frutta, foglie, ghirlande sostenute da puttini, creano un turbinio festoso che esalta con gioia i valori di una città ricca e religiosa.

«On y accède par une allée de hauts ciprès dont la couleur noire fait ressortir l'espèce de teinte dorée qu’a revêtue la pierre dont l'eglise est bâtie». E puntualizza anch'egli quanto il passaggio al colore oro, quasi al rosso, sia lento e graduale, come anche l'accrescimento della resistenza meccanica: « Cette pierre de Lecce, si friable, si blanche, quand on l'extrait de terre, puis elle durcit et jaunit, à cet air sec et léger, au point de revêtir une teinte presque pareille au beau marbre roux du Parthénon».

Scrive il Williams: «Appena cavata, la pietra può tagliarsi col coltello; si dice però, che dopo pochi giorni diventi durissima, tanto da resistere quasi allo scalpello». Il Sitwell giunge persino a parlare di un «ultimo dono», ai nostri occhi ingrato, della natura all'uomo.: «A costruzione completa, sia di chiesa sia di palazzo, questa pietra offre all'uomo il suo ultimo dono, indurendosi tanto da poter resistere più a lungo dei nostri nordíci graniti»

Nel supplemento letterario del Times dell' 8 settembre 1908 in cui viene recensito In the Heel of Italy del Briggs ancor prima che esso venisse divulgato, si legge che «la bella pietra offre a questo stile una speciale abbondanza di ornamenti. Essa può facilmente scolpirsi ed il tempo abbellisce il suo colore. L'intero risultato è ammirevole e affascinante per chi sente le varie impressioni della bellezza ( ... )».

1, 2 Cazzato, Vincenzo. "La fortuna della pietra leccese e il suo impiego in due emblematici restauri." In La pietra: interventi, conservazione, restauro: atti del Convegno Internzionale, Lecce 6-8 novembre 1981. Lecce: Congedo Editore 1983.